Il morbo di Parkinson è una malattia neuro-degenerativa progressiva che compromette alcune funzioni cerebrali come il controllo dei movimenti e dell’equilibrio. Il sintomo forse più noto di questa patologia è un tremore incontrollabile che scuote l’individuo, riducendone l’indipendenza e la qualità della vita.
Morbo di Parkinson
Il morbo di Parkinson è una malattia che provoca la morte delle cellule nervose produttrici di dopamina nella substantia nigra, una regione del mesencefalo. La dopamina funziona come neurotrasmettitore all’interno del cervello, veicolando le informazioni fra i neuroni; in caso questa sostanza inizi a scarseggiare, le istruzioni giungono incomplete o alterate e questo causa i movimenti involontari e i tremori tipici del Parkinson.
“Paralisi paralizzante” è uno dei termini più comuni per definire la malattia. Questo però è fuorviante perché il morbo non paralizza ma piuttosto inibisce i movimenti, fino a giungere a una pressoché totale incapacità di muoversi.
Purtroppo, attualmente non esiste una cura risolutiva per il morbo di Parkinson.
Sinonimi
Paralisi agitante, paralisi tremante, Parkinson, parkinsonismo idiopatico, parkinsonismo primario, sindrome ipocinetica rigida.
Frequenza
Il Parkinson, presente in tutto il mondo ed in tutti i gruppi etnici, colpisce entrambi i sessi con una lieve prevalenza di quello maschile.
L’età media dell’esordio avviene intorno ai 58-60 anni, ma si registra un 5% dei casi in età giovanile, fra i 21 ed i 40 anni. Sopra i 60 anni colpisce 1-2% della popolazione, percentuale che sale al 3-5% quando si superano gli 85. [1] Va tenuto presente che l’incidenza del Parkinson è in aumento, principalmente per via della vita media più lunga.
[1] https://www.parkinson.it/morbo-di-parkinson.html
Cause
La causa della malattia è la perdita delle cellule nervose che producono dopamina nella substantia nigra del mesencefalo. La conseguente carenza di dopamina produce un’alterazione dei messaggi veicolati dai neurotrasmettitori, con successivo squilibrio dell’organismo e la comparsa dei sintomi.
Le cause primarie della perdita delle cellule produttrici di dopamina sono, però, sconosciute. Al momento si è dimostrato che nel 20% dei casi di Parkinson c’è una componente ereditaria, ma oltre l’80% dei casi rimane inspiegato.
Tra i fattori di rischio, l’età occupa senza dubbio la prima posizione visto che l’incidenza sale con l’aumentare dell’età. Il Parkinson è diffuso tra gli ex pugili e questo fa pensare che i frequenti traumi alla testa possono influire non poco. Altrettanto rilevante è il consumo di anfetamine: fra chi fa uso di questa sostanza, l’incidenza della malattia sale vertiginosamente.
Diagnosi
Per la diagnosi del morbo di Parkinson non esiste un test specifico ma ci si basa sulla storia clinica del paziente e su un esame neurologico approfondito, aiutandosi con delle tomografie computerizzate e delle risonanze magnetiche.
Nel corso del tempo, la medicina internazionale si è data da fare per stabilire dei criteri diagnostici condivisi e inequivocabili: secondo la britannica Parkinson’s Disease Society Brain Bank, la malattia va diagnosticata in presenza dei quattro sintomi fondamentali, qualora sia stata esclusa qualunque altra causa.
Un’ulteriore conferma che siamo di fronte al Parkinson si ha in caso di miglioramento per l’assunzione di levodopa (o L-dopa), un amminoacido non proteico precursore della dopamina.
Prevenzione
Dal momento che la causa del Parkinson non è ancora chiara, non esistono dei farmaci specifici per la prevenzione del morbo di Parkinson.
Tuttavia, condurre uno stile di vita sano con un’attività fisica frequente e una dieta antiossidante è un’ottima strategia per ridurre il rischio. Inoltre è bene evitare il fumo e l’esposizione eccessiva ai pesticidi.
Sintomi
Il sintomo più evidente del morbo di Parkinson sono gli evidenti tremori e i movimenti rallentati. I medici distinguono i seguenti 4 sintomi fondamentali:
1. Rallentamento dei movimenti (bradicinesia)
Chi è affetto da morbo di Parkinson presenta dei movimenti sempre più difficoltosi e rallentati. Solitamente, i primi sintomi sono un dolore immotivato alla spalla o a un braccio. Inoltre, quando si cammina un braccio si muove meno e in modo diverso rispetto all’altro.
Man mano che la malattia progredisce, gesti banali e meccanici come alzare una mano o una gamba richiedono uno sforzo e una forza di volontà sempre maggiori. I movimenti spontanei e involontari scompaiono, così come il normale gesticolare quando si parla. Anche l’andatura si modifica: i passi diventano più piccoli e la postura sempre più piegata in avanti.
Un effetto poco conosciuto è quello sulla calligrafia, che si fa sempre più piccola (micrografia). Le espressioni del viso diminuiscono e si va verso la cosiddetta “maschera facciale”. Altra area affetta è quella del linguaggio, sempre più piatto, monotono e confuso (microfonicità). Nelle fasi avanzate, compaiono ipersalivazione e problemi a deglutire. All’ultimo stadio, l’immobilità è pressoché completa.
2. Rigidità muscolare (rigor)
Nel Parkinson, la rigidità muscolare risulta accresciuta. Di solito le prime parti ad essere colpite sono le spalle e il collo, fatto che spinge i pazienti a recarsi da un ortopedico. Durante la visita medica, il dottore può accorgersi di qualcosa di grave se il braccio del paziente non riesce ad allungarsi in modo fluido, ma va a scatti come se si stesse cambiando la marcia della macchina. Inoltre i malati di Parkinson sono soliti sfregarsi le dita come se contassero delle monete.
I muscoli magri del corpo sono spesso più colpiti rispetto ai gruppi muscolari decentrati (rigidità assiale).
3. Tremore
Il terzo sintomo principale è il tipico tremore, forse la caratteristica più conosciuta della malattia.
Solitamente il disturbo ha origine da un lato, per poi diventare bilaterale in un secondo tempo. Il fenomeno si presenta con più evidenza quando si è “a riposo”, peggiora nei periodi di stress mentre scompare durante i movimenti volontari e quando si dorme.
4. Instabilità posturale
Nelle fasi più avanzate della malattia, la compromissione dei neurotrasmettitori va ad influire anche sulla postura, che risulta irregolare, precaria e sbilenca. Le cadute si fanno via via più frequenti e, con esse, le fratture ossee: si stima che circa il 10% dei malati in fase avanzata cada una volta alla settimana.
Sintomi minori
Oltre ai sintomi principali, se ne registrano numerosi altri che hanno ricadute sulla qualità della vita del paziente.
I sensi risultano alterati e possono esserci allucinazioni olfattive come cattivi odori in realtà inesistenti, sensazioni anormali sulla pelle e disfunzioni circolatorie e alla vescica.
Altrettanto invasivi sono i sintomi psicologici dovuti alla carenza di dopamina: compaiono depressione, disturbi d’ansia e disturbi del sonno REM, spesso ancora prima dei disturbi fisici.
Fasi del Parkinson
Il decorso clinico del Parkinson è molto diverso da persona a persona.
Se non trattata, la malattia costringe a letto quasi tutti i pazienti entro dieci anni dalla comparsa dei primi sintomi. Oggi però è praticamente impossibile trovare malati che non ricevono cure appropriate, dunque l’aspettativa di vita dei parkinsoniani è cresciuta sensibilmente.
Per definire lo stato di un malato di Parkinson si usa scala di Hoehn e Yahr, ideata nel 1967 e divisa in cinque stadi distinti.
Stadio | Condizione |
1 | Coinvolgimento unilaterale. Nessuna disabilità funzionale |
2 | Coinvolgimento bilaterale. Equilibrio sostanzialmente intatto. |
3 | Coinvolgimento bilaterale medio. Fisicamente indipendente. |
4 | Soggetto gravemente debilitato ma ancora sostanzialmente indipendente. |
5 | Soggetto allettato o su sedia a rotelle. |
Trattamento
Allo stato attuale, non esiste una cura per il morbo di Parkinson. Ci sono però delle terapie utili per alleviare i sintomi: trattamento farmacologico, pacemaker del cervello, terapia fisica e psicoterapia.
La terapia farmacologica si basa su delle medicine che compensano la mancanza di dopamina e lo squilibrio di neurotrasmettitori. Tra questi c’è il levodopa (L-dopa), un precursore della dopamina. Un’altra opzione è la somministrazione di agonisti della dopamina, che ne stimolano i recettori: ve ne sono di ergolinici come bromocriptina e cabergolina e di non ergolinici come i recenti pramipexolo, ropinirolo e apomorfina.
Gli inibitori MAO-B (mono-amino ossidasi), ovvero selegilina e rasagilina, hanno la capacità di aumentare i livelli di dopamina nel cervello e vengono utilizzati per contrastare i sintomi motori e ritardare l’inizio dell’assunzione di levodopa nelle prime fasi della malattia. I problemi ai muscoli vengono contrastati anche con degli anticolinergici come biperiden o bornaprine.
Pacemaker del cervello
Qualora la terapia farmacologica non sia sufficiente a tenere a bada i sintomi, si può prendere in considerazione l’intervento chirurgico in anestesia generale per l’installazione di un pacemaker all’interno del cervello. Tale dispositivo può essere permanente o temporaneo ed è in grado, tramite elettrodi posti in determinate aree dell’encefalo, di alleviare i sintomi del Parkinson.
Terapie complementari
Altrettanto utili sono la fisioterapia, le tecniche di rilassamento, gli esercizi per le corde vocali e la deglutizione al fine di ritardare il più possibile il peggioramento dei sintomi.
Psicoterapia
Il morbo di Parkinson ha degli effetti nefasti sulla psiche dei pazienti: molto frequenti sono i disturbi di ansia e depressione per via del peggioramento fisico. Per questo motivo, i medici consigliano sempre una terapia psicologica da affiancare a quella farmacologica fin dagli esordi della malattia. Gli studi dimostrano che la psicoterapia influisce positivamente sul decorso clinico del Parkinson.
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